di Luca Ruggero Jacovella
Dal 5 all’8 settembre si è svolto a Collescipoli, un
caratteristico borgo medievale in provincia di Terni, il JAZZIT FEST . L’innovativo
evento, ideato da Luciano Vanni, editore dell’autorevole rivista JazzIt.
Il Jazzit Fest ha ospitato oltre 100 esibizioni, con 450
musicisti. Chiostri, piazzette, chiese sconsacrate …, ogni possibile spazio del
piccolo borgo ha visto i protagonisti alternarsi in performance di jazz mainstream
e moderno, di teatro e musica, piccoli e grandi ensemble, con giovani emergenti
e nomi già affermati fianco a fianco.
“Il primo Festival ad impatto zero”, così recitava lo
slogan, non è ricorso ad alcun contributo pubblico, ed ha avuto il merito
ulteriore di coinvolgere anche gli abitanti e gli operatori economici del paese
in questo lungo, curioso e coraggioso happening.
“Il Festival che ha cambiato per sempre i paradigmi di fare
cultura in Italia” è un’altra orgogliosa affermazione dell’ideatore. Noi
crediamo che sia effettivamente così, almeno per quanto riguarda il nostro
specifico focus di osservazione: il setting performativo dei tanti eventi che
erano in programma.
Nel linguaggio comune, le esibizioni svoltesi al Jazzit Fest
vengono definite “concerti”. Eppure il pubblico era libero di passeggiare per
le vie, di entrare ed uscire dai luoghi deputati agli spettacoli, di ascoltare in
maniera concentrata o di alternare l’attenzione alla conversazione con amici e
compagni. Queste sono tutte condotte solitamente non appropriate a ciò che si
intende comunemente per “concerto”. Difatti, nella fruizione tradizionale e
romantica del concerto, l’ascoltatore ha un ruolo passivo, spesso anche suo
malgrado, ed in rigida osservanza delle regole sociali che impongono silenzio e
rispettoso immobilismo fisico fino alla fine delle esecuzioni.
Nel nostro caso invece, il pubblico (“fruitore”) era
totalmente libero di assumere i comportamenti che preferiva. Molti hanno posto
in essere azioni attive, quali la selezione di particolari momenti di una
performance, poi la scelta di uscire e di selezionare successivamente altre
performance in corso a pochi passi di distanza: una sorta di “editing” o di “telecomando”
che agisce sulla creazione del proprio format di serata e di un proprio “paesaggio
acustico”. I fruitori, quindi, hanno goduto della libertà nello spazio data
convenzionalmente da ciò che intrattiene senza impegno, come “l’entertainment”
(punto di vista etic), ma allo stesso tempo hanno avuto l’occasione di
assistere a performance nelle quali la volontà artistica ed il modus operandi
dei musicisti, riguardo la creazione dell’opera (aspetto poietico), erano
espressi secondo le loro massime potenzialità ed i loro soggettivi valori espressivi
più alti (punti di vista emic).
Questo tipo di esperienza e di relazione fra performer e
fruitori lo abbiamo definito attraverso il neologismo “CONCERTAINMENT”. Esso si realizza quindi, quando una performance
artistica avente una intenzionalità concertistica “alta” (espressione di un “Kunstwollen”
del musicista) viene de-localizzata e de-contestualizzata rispetto ai luoghi
abituali, rendendo, nel contempo, liberi i fruitori di assumere qualsiasi
condotta. Il Concerto e l’Entertainment si compenetrano creando una “nuova”
forma di interazione fra produzione e ricezione (attiva) dell’opera. Modello
certamente più consono allo spirito originario del jazz.
Il Jazzit Fest a Collescipoli è stato perciò palcoscenico di
oltre 100 Concertainment in 4 giorni. Davvero un cambiamento di paradigma nel fare cultura!